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Blog - 13 Marzo 2024

“Vergogna” di Coetzee tra critica al razionalismo strumentale e antispecismo

Vergogna di Coetzee: recensionePremessa. Perchè questa indagine?

Vergogna è una delle opere più famose del premio Nobel sudafricano, fra le altre cose noto “scrittore vegetariano”. Questo romanzo è particolarmente interessante per gli animalisti, gli amanti degli animali e i veg(etari)ani poiché traccia un percorso verso una nuova comprensione del mondo animale (ma anche umano, per riflesso) attraverso un personaggio che parte dal più totale disinteresse per quel mondo. David Lurie (il protagonista) passa da un tenace sarcasmo nei confronti di chi possiede una particolare “sentience” nei confronti degli animali, a stabilire con questi ultimi un legame profondissimo, che in parte resta misterioso perché lo stesso protagonista ne viene sovrastato, incapace com’è di “gestirlo”.

L’uscita di Disgrace nel 1999 ha sollevato una serie di polemiche in Sudafrica per aver rappresentato un paese dominato dalla violenza e dallo scontro razziale proprio quando la fine dell’Apartheid aveva segnato una svolta nella sua storia. Nel nostro studio tralasceremo questo aspetto del testo per concentrarci solo sulle scene concernenti l’alterità animale, l’animalità nell’uomo e l’apertura verso l’Altro attribuibile all’attività poetica del protagonista.

Queste tre tematiche sono correlate dalla critica al razionalismo di cui è portavoce David Lurie all’inizio del romanzo; e da un comune riferimento a una “sentience”, una facoltà del sentire, che si svilupperà in Lurie col procedere del romanzo e stimolerà le illuminanti riflessioni di Derek Attridge (uno dei maggiori critici che si è occupato del libro) intorno allo “state of [dis]grace” del protagonista.

L’incipit del romanzo fa riferimento alla relazione tra David Lurie, professore associato di scienze della comunicazione all’università di Cape Town, e una prostituta di nome Soraya. “Per un uomo della sua età, cinquantadue anni, divorziato, gli sembra di aver risolto il problema del sesso piuttosto bene”. Nonostante questo, il rapporto trai due si raggela quasi subito, in seguito a un casuale incontro del protagonista con la donna e i suoi figli (quindi con la donna nella sua dimensione materna anziché seduttiva), e cessa del tutto poco dopo, quando lei decide di lasciare la città.
Dopo un breve flirt con la nuova segretaria del dipartimento, la situazione di Lurie precipita a seguito di una relazione con una delle sue studentesse, una ragazza di nome Melanie Isaacs, che segue un suo corso sui poeti romantici. La relazione con Melanie comincia a complicarsi con la comparsa del suo giovane fidanzato, e finisce con un’inchiesta ufficiale tenuta da una commissione universitaria. Lo stesso padre di Melanie si presenta insieme alla figlia per firmare la denuncia per molestie sessuali.

Come avremo modo di approfondire, la risposta di David ad alcuni membri della commissione universitaria, che gli consigliano di confessare al fine di mitigare la sua posizione, è sorprendente e perentoria, tanto che il suo comportamento concorre a determinare l’espulsione dall’università. Dopo l’espulsione Lurie decide di lasciare Cape Town per andare a vivere dalla figlia Lucy, in una piccola tenuta nella Eastern Province. Lucy, lesbica, vive coltivando fiori e verdure che rivende a un mercato vicino, e tenendo alcuni cani a pensione. Ripreso il difficile rapporto con la figlia, David ha modo di conoscere Petrus, un africano che dapprima ha lavorato per Lucy e che al momento del suo arrivo è divenuto comproprietario della fattoria. David incontra inoltre Bev Shaw, un’amica di Lucy che lavora in una clinica veterinaria (in cui si eseguono un gran numero di soppressioni), e suo marito Bill.

Un giorno, dopo che Lucy e David tornano da una passeggiata, si verifica un assalto da parte di criminali locali, un evento terrificante, che sconvolge entrambi. Dopo questo evento David diviene una presenza assidua nella clinica veterinaria di Bev Shaw, dove il suo legame con gli animali ha modo di approfondirsi. Il libretto d’opera su cui lavorava Lurie già in apertura del testo, che è venuto trasformandosi nel corso del tempo, acquisisce un’importanza maggiore nella sua vita. Nelle ultime pagine si acuisce ancor di più il legame, divenuto già profondo, di David con il mondo animale. In particolare in una correlazione – potente e misteriosa – con i loro cadaveri.

In Age of bronze, State of Grace, Derek Attridge imposta lo studio del cambiamento di Lurie nei confronti degli animali, e più in generale nei confronti di se stesso e del mondo, richiamandosi al concetto d’ascendenza teologica dello “stato di grazia”, uno stato di particolare recettività nei confronti del divino. Un concetto che ben si addice allo stato di “disgrace”, cioè “fuori dalla grazia”, in cui precipita il protagonista, e quindi descrive la nuova “sentience”, la nuova sensibilità (o meglio, facoltà di sentire) che lo investe e lo rende diverso, rendendo al contempo diversa la sua visione del mondo; cosa che in particolare si riflette nella nuova considerazione del protagonista nei confronti degli animali.

Il cambiamento che avviene in David Lurie è un cambiamento che lo sovrasta: Lurie non riesce a spiegarselo poiché non può essere interpretato con la semplice ragione. Proprio questo cambiamento sarà un momento centrale nella nostra indagine in quanto rappresenta l’impotenza dell’attività razionale nel venire a capo d’una questione sovrarazionale, e come tale è simbolo di tutto uno spettro di esperienze e di forme di conoscenza facenti parte a pieno di titolo dell’esistenza umana, ma che la ragione umana non “intende”.

Tutto ciò si manifesta nel testo attraverso tre problematiche guida: anzitutto il rapporto con le figure dell’alterità animale; poi il “problema del sesso”, come lo definisce Lurie, che si manifesta attraverso il riconoscimento da parte del protagonista dei suoi istinti sessuali; nonché la crescente importanza dell’attività poetica, come attività in grado di generare un’apertura verso l’Altro.

Cominceremo dal “problema del sesso”, da quel qualcosa che fa fremere allo stesso tempo tanto i professori universitari quanto gli uccellini sugli alberi.

Vergogna di J.M. Coetzee: il desiderio

Analizziamo il “problema del sesso”, che Coetzee descrive con un lessico tratto dai campi semantici della vita animale e della caccia. Cominceremo da questo perché, come accennato, è il primo problema che si presenta agli occhi del lettore. Torneremo in seguito sulle considerazioni del critico Derek Attridge; sarà una fondamentale figura di confronto nell’interpretazione del “cambiamento” di David Lurie.

Per tutta la prima metà di Disgrace, Lurie manifesta un sostanziale distacco dalla questione animale, come afferma esplicitamente in alcuni dialoghi con la figlia Lucy. “Lucy, tesoro, non arrabbiarti. Sono d’accordo anch’io, questa è l’unica vita che c’è. E per quanto riguarda gli animali, è giustissimo trattarli con gentilezza. Ma cerchiamo di non perdere il senso delle proporzioni. Noi apparteniamo a un ordine del creato diverso da quello degli animali. Non necessariamente superiore, ma diverso. Quindi, se vogliamo essere gentili con loro, facciamolo per pura e semplice generosità, non perché ci sentiamo in colpa e temiamo una punizione”. (Parole che riportano alla mente, rovesciato, il criterio animalista “non pietà, ma giustizia è dovuta agli animali”).

Tom Herron commenta queste parole come segue: “Sono accademiche, libresche, astratte: caratteristiche di un pensiero e di un modo di esprimersi che nel giro di poco tempo David sarà obbligato ad abbandonare”. Ma, e cominciamo a entrare nel merito della questione, David fa costantemente uso, nel descrivere se stesso e le sue relazioni con le donne, di termini tratti dal regno animale.

Gli esempi nel testo sono davvero cospicui, e procedono dall’incipit fino alla chiusura: la questione del sesso va analizzata al pari del problematico rapporto con l’alterità animale e l’attività poetica. Oltre a mettere in moto l’azione (sarà proprio per una forma di inusuale fedeltà alle proprie pulsioni che Lurie verrà espulso dall’università), il peso della componente istintuale ed erotica rappresenta una presenza ingombrante, non pienamente dominabile eppure tenacemente accettata da Lurie.

La nostra analisi intende mostrare l’utilizzo sistematico di un lessico attinto al campo semantico della caccia o del mondo animale nei passaggi relativi alla “questione del sesso”, nonché l’importanza che questa riveste all’interno della vita di Lurie. Pur non spingendoci, con Herron, a definire il cambiamento del protagonista come una trasformazione animale (il che ci sembra eccessivo), vorremmo evidenziare il ruolo che questa problematica gioca nell’evoluzione del personaggio, ricordando sempre che “ciò che accade a Lurie è difficile da articolare. Non è qualcosa che lui (o il narratore) sembrano comprendere appieno”.

Vediamo alcune frasi dal primo capitolo del testo.
“Assecondate la vostra indole. Non è una filosofia, non si azzarderebbe a darle questa dignità. È una regola, come quella di San Benedetto”. Una regola che porterà David a una cocciuta resistenza davanti alla commissione universitaria sullo scandalo, e che il protagonista avrà modo di approfondire in seguito a una lunga discussione con la figlia.
“In campo sessuale il suo carattere […] non è mai stato appassionato. Se mai dovesse scegliere un totem, questo sarebbe il serpente. Immagina che i rapporti tra lui e Soraya siano simili alla copula dei serpenti […] Sarà un serpente anche il totem di Soraya?”. Questo riferimento “pseudo-antropologico” al totem ricorda quanto profondamente sia presente l’analogia animale nell’autoconcezione degli esseri umani.
“Le sue necessità si stanno rivelando assai lievi, in fondo, lievi e passeggere, come quelle di una farfalla”. E ancora nel primo capitolo, “l’eros sta in agguato”, “la madre e lo sconosciuto si accoppiano”, “Sgroppando e artigliandolo, Dawn si eccita fino a schiumare come un cavallo”, ecc.

Non possiamo riportare tutti gli esempi in cui l’eros viene ricollegato all’ambito animale, ma già dalle primissime pagine è possibile rilevarne l’altissima frequenza. Vediamo solo uno dei rapporti con Melanie Isaacs, descritto da Coetzee in termini propriamente predatori: “Non è stupro, non proprio, ma un atto indesiderato, profondamente indesiderato. Come se Melanie avesse deciso di lasciarsi andare, di morire dentro di sé per la durata del coito, come un coniglio quando le mascelle della volpe si chiudono sul suo collo”.

Esaminiamo ora alcuni passi dell’inchiesta universitaria. Ciò che ci interessa è la reazione di Lurie. A partire da qui la domanda di fondo è: possiamo considerare il problema del sesso come un segnale, un prodromo della successiva trasformazione di Lurie? Questo problema del sesso ha forse delle radici in comune con i nuovi rapporti con l’alterità animale che il protagonista intreccerà più in là nel romanzo, nel pieno del suo “state of disgrace”?

Già in un primo intermezzo con Hakim (un suo collega), Lurie manifesta la sua insofferenza verso l’idea di “cospargersi il capo di cenere” e venire a patti con l’università al fine di mitigare la gravità della sua posizione per l’accusa di molestie sessuali.

“Psicoterapia? Ho bisogno di uno psicologo?”
“Non fraintendermi. Sto solo dicendo che potrebbe essere una delle vie d’uscita.”.
“Per guarire? Per curare le mie disdicevoli voglie?”.

La discussione si accende davanti alla commissione, quando Lurie si riconosce subito colpevole, accettando le accuse e rifiutando di discutere: “Quello che volete da me non è una risposta ma una confessione. Be’, non ci sarà alcuna confessione”.

Tuttavia Lurie si decide a parlare, infine, spiegando cosa è avvenuto dopo l’incontro con Melanie in questi termini: “Basti dire che è entrato in scena Eros. Da quel momento tutto è cambiato. […] Non ero più me stesso. Non ero più un cinquantenne divorziato e padrone della sua vita. Sono diventato schiavo di Eros”.

Attridge sottolinea l’importanza dei rifiuti di Lurie: ciò che ha scatenato la pubblica riprovazione, più che il desiderio di possedere Melanie Isaacs, è stato lo strenuo rifiuto di sottomettersi davanti alle richieste della commissione, il rifiuto di accettare le regole istituzionali e sottostare ai criteri morali imperanti. Per capire il valore del rifiuto di Lurie è necessario saltare alcune decine di pagine, per arrivare alla discussione fra Lucy e Lurie che precede l’incontro con i tre aggressori. Sono pagine dense e non particolarmente sfruttate dalla critica, che ci permetteranno di afferrare il legame tra il problema del sesso e la questione animale oltre il semplice parallelismo linguistico.

Quando Lucy, camminando, chiede al padre perché non si è fatto valere in commissione, Lurie risponde: “Ti sfugge un punto essenziale, mia cara. La tesi che dovrei sostenere non è più sostenibile, punto e basta. Non ai nostri giorni”. Ma Lucy insiste per sentire ciò che il padre ha da dire, e lui risponde: “Io mi appello ai diritti del desiderio […] Al dio che fa fremere anche gli uccellini […] Ero schiavo di Eros … È stato un dio che ha agito tramite me”.

Sono parole dello stesso Lurie e vanno considerate con cautela, ma è un passaggio di estremo interesse, che culmina con un tentativo di spiegarsi attraverso un esempio tratto dal mondo animale.

Lurie ricorda a Lucy un cane che molti anni prima i loro vicini picchiavano con una costanza “degna di Pavlov”, perché diventava ingovernabile ogni volta che c’era una cagnetta nelle vicinanze. Il cane finì col perdere la bussola: “Quando sentiva l’odore di una femmina, si metteva a girare in tondo per il giardino con le orecchie basse e la coda tra le zampe, uggiolando e cercando di nascondersi”. Lucy allora interviene chiedendo al padre quale sarebbe il punto. “C’era qualcosa di ignobile e disperante in quello spettacolo. Si può punire un cane perché si è mangiato una pantofola. […] Ma il desiderio è tutt’altra storia. Nessun animale può considerare giusta una punizione perché ha seguito i suoi istinti”.

La seguente domanda di Lucy dà voce all’ovvia obiezione relativa alla “quasi-violenza” (“Non è stupro, non proprio”) di cui Lurie si era reso protagonista: “Quindi ai maschi deve essere permesso di seguire i loro istinti senza alcun controllo? È questa la morale?”. “’No, non è questa. La cosa davvero ignobile era che il povero cane aveva cominciato a odiare la sua stessa natura. Non aveva più bisogno di essere picchiato. Era pronto ad autopunirsi. A quel punto sarebbe stato meglio abbatterlo”. “Ti sei sempre sentito così, David”, chiede poco dopo Lucy (come quel cane, potremmo dire, forzando giusto un filo il discorso); il padre risponde di no, non sempre, benché “questo genere di desiderio è un peso di cui si farebbe volentieri a meno” [4].

Al momento della precedente inchiesta universitaria Lurie non sembrava avere dalla sua una salda determinazione che determinasse una sfida alle istituzioni “nel nome del desiderio”. Il lungo passo che abbiamo riportato sopra si riferisce a una scena accaduta tempo dopo. David ha forse sviluppato delle idee più chiare?

In realtà, anche qui sembrerebbe che non stia riportando un’idea definita in precedenza. Sembra quasi improvvisare. Ad ogni modo, Lurie stabilisce il legame che intercorre fra le sue pulsioni e quelle animali, ma non attraverso un discorso antropologico o etologico prettamente razionale. “Io mi appello a diritti del desiderio”, afferma Lurie, ovvero “al dio che fa fremere anche gli uccellini”. Il desiderio in quanto pulsione che, come esperisce David, non è del tutto dominabile attraverso la ragione, è il primo vero tramite definito da David tra sé e il mondo animale. La fedeltà alle proprie pulsioni è ovviamente qualcosa di estremamente problematico ma che David sente di poter difendere in base a qualcosa di non pienamente comprensibile e argomentabile razionalmente; qualcosa di profondo, insito negli animali e, ancora oggi, negli uomini. Tuttavia Lurie crede che la tesi a sua difesa non possa più essere sostenuta, ai nostri giorni [5]. In questo caso ci sembra di poter dire che Lurie si riferisca, oltre che alle situazione sudafricana, al nostro tempo, all’epoca del razionalismo imperante.

Attridge scarta, a ragione, l’idea che il percorso che ha portato Lurie a una nuova percezione nei confronti degli animali e del mondo sia un percorso “d’amore”. Sottolineando che la storia delle seduzioni di Lurie sia appunto una storia di seduzioni, e non d’amore, afferma: “Non possiamo dire che […] è l’amore a costituire la sua via verso [lo stato di] grazia”. Tuttavia nella questione del sesso troviamo inscritta una certa vicinanza alla questione animale, nonostante il desiderio nel romanzo abbia poco a che fare con l’amore; quell’amore che nasce nel successivo rapporto tra Lurie e i cani morti o condannati a morire.

Fino a oltre metà testo, la “questione animale” è cinicamente allontanata da Lurie in ogni occasione. E sebbene la relazione fra David e gli animali avrà modo di manifestare il suo valore in altri modi che non attraverso la tematica del desiderio, questa ci ricorda che l’approdo a un sentire eticamente più sensibile nasce più attraverso il cuore che attraverso il “cervello” (inteso come razionalismo strumentale, come sosterrà Elizabeth Costello). Questa nuova “sentience” affonda le sue radici in una condivisione del Mondo (di quel concetto di Mondo che Heidegger considerava, per noi tutti, ancora molto oscuro) che instaura una complessa fratellanza tra noi e l’Altro-animale. Una fratellanza complessa e sfaccettata che è al centro di molti testi teorici sull’antispecismo, una fratellanza che non richiede il disconoscimento delle differenze dall’umano, e che andrebbe fondata su una condivisione libera dall’antropocentrismo metafisico che riporta sempre la nostra relazione con l’animale in un’ottica oppositiva o chiaramente bellicosa.

La tematica del desiderio si rivela quindi interessante, mostrandosi come il primo attacco alle pretese assolutistiche del pensiero raziocinante e come il primo vero punto di contatto che il protagonista ravvisa (più o meno coscientemente) con l’Altro-animale.

Prima di passare alle altre tematiche, qualche precisazione sulla valenza negativa del “problema del sesso” in Vergogna. Come sottolinea Attridge riguardo alla relazione tra Melanie e David, non bisogna mai dimenticare che nel romanzo lo stesso desiderio è causa del non-proprio-stupro, ma quasi, di Lurie, e di un altro stupro successivo. Chiariamo quindi che le nostre riflessioni sul desiderio in Vergogna non hanno niente a che vedere con un’accettazione, a livello morale, delle sue implicazioni. Il suo valore è stato sottolineato in quanto pulsione facente parte a pieno titolo dell’esistenza, e non pienamente padroneggiabile dalla ragione. D’altronde non bisogna confondere il rifiuto da parte di Lurie di sottostare alla censura con un’accettazione irriflessa e amorale dei propri impulsi. E, ancora più importante, non è affatto detto che ciò che nell’uomo viene silenziosamente ignorato dalla ragione sia solamente un qualcosa di positivo. Ciò che ci accomuna agli animali non è un qualcosa di sempre e comunque positivo.

Ad ogni modo, non volendo entrare nel merito di un giudizio sul comportamento del protagonista, abbiamo sottolineato il significato del suo rifiuto di disconoscere parte della sua natura, portando avanti una questione di principio che si fa prima figura di un rifiuto di sottomettere l’intera esistenza umana all’“imperialismo” della ragione. Nei prossimi capitoli andremo al nodo fondamentale, affronteremo il cambiamento di Lurie nei confronti degli animali che incontrerà, spesso morenti, condannati a morire oppure morti.

Ironia e avvicinamento agli animali

Limiteremo la nostra analisi ad alcuni momenti chiave in cui si manifesta il cambiamento di Lurie nei confronti degli animali.
Esclusi parallelismi e metafore non troviamo in Vergogna alcuna riflessione rilevante del protagonista riguardo agli animali prima che egli si trasferisca nell’entroterra sudafricano, a casa della figlia. Inoltre, nell’evolversi della storia non troveremo un cambiamento cosciente da parte di Lurie: gli eventi e le sensazioni lo travolgeranno. Secondo Herron, ciò avviene quando David Lurie entra in quello stato di dis-grazia scatenato dallo scandalo seguito alla sua relazione sessuale con la studentessa Melanie Isaacs.
Il cambiamento d’attitudine in David può essere ben percepito se proiettato sullo sfondo delle prime discussioni sugli animali con la figlia e Bev Shaw (l’amica di Lucy che porta avanti una clinica veterinaria). Analizziamo la scena in cui Lurie e la figlia si recano a casa dei coniugi Shaw.
“David non ha nulla contro gli animalisti, con cui Lucy è immischiata da tempo immemorabile. Senza di loro il mondo sarebbe sicuramente un posto peggiore. Così, quando Bev Shaw apre la porta, fa buon viso a cattivo gioco, anche se il puzzo di urina di gatto, di rogna canina e di lisoformio gli dà il voltastomaco”.
Tornati in macchina, padre e figlia riprendono la discussione su Bev. David commenta così il suo lavoro:
“Mi spiace, ragazza mia, ma stento a provare interesse per l’argomento. Quello che fai tu, quello che fa Bev, è ammirevole, ma gli animalisti mi sembrano come certi cristiani. Così gioiosi e pieni di buone intenzioni che alla fine ti viene una gran voglia di stuprare e saccheggiare il mondo intero. O di prendere a calci il gatto”.
Teniamo a mente l’ironia di Lurie in questo passaggio.
Andiamo avanti. Dopo questo sfogo, Lucy gli risponde: “Pensi che dovrei occuparmi di cose più importanti […] Gli amici come Bev e Bill Shaw non ti piacciono perché non mi elevano culturalmente e socialmente […] è così. Bev e Bill non mi elevano semplicemente perché non esistono vite migliori o peggiori. Questa è l’unica vita che c’è E dobbiamo dividerla con gli animali. Le persone come Bev danno il buon esempio. E io cerco di seguirlo…”.
David: “Lucy, tesoro, non arrabbiarti. Sono d’accordo anch’io, questa è l’unica vita che c’è. E per quanto riguarda gli animali, è giustissimo trattarli con gentilezza. Ma cerchiamo di non perdere il senso delle proporzioni. Noi apparteniamo a un ordine del creato diverso da quello degli animali. Non necessariamente superiore, ma diverso”. Randall ricorda giustamente che David e Lucy sono in Sudafrica, “dove ‘non superiore ma diverso’ [not-higher-just-different] è stato lo statuto “discreto” e “cortese” della logica specifica dell’Apertheid […] in Sudafrica (e ovviamente anche altrove) la logica di David Lurie è stata usata in senso oppressivo e violento contro gli esseri umani”.
Questo è sostanzialmente il primo momento in cui Lurie palesa la sua distanza dalla questione, dal modo di pensare di Lucy e di Bev.

Il primo vero contatto di David con l’Altro-animale avviene con Katy, uno dei cani nelle gabbie di Lucy (che come accennato tiene dei cani a pensione). David sembra affezionarsi a Katy, stabilendo una labile e strana empatia. In un momento “che combina assurdità e pathos” David, un cinquantaduenne, ex professore universitario ancora cinico e sarcastico, in pieno giorno – quasi per caso – si addormenta nella sua gabbia, e Lucy lo ritrova disteso accanto alla cagna.
Un passaggio davvero straniante.
“State facendo amicizia?”, domanda Lucy al padre.
Dopo questa scena, David accetta di aiutare Bev nel suo lavoro alla clinica.

Passiamo ora a esaminare l’ironia come metodo di allontanamento e neutralizzazione delle affermazioni e delle posizioni altrui. Certo a molti vegetariani a sentir parlare di ironia staranno già fischiando le orecchie…
Siamo ora nella clinica veterinaria. Mentre Lurie tiene fermo un cane su cui viene operata un incisione, Bev gli dice: “Si concentri su qualcosa di consolante e di energico. I cani sentono l’odore dei pensieri”.
David pensa “che stupidaggine!”, e al successivo “Sento che gli animali le piacciono” di Bev, David replica con ironia sardonica: “Davvero? Li mangio, quindi immagino che mi piacciano; certe parti, almeno”. Bev risponde: “Sì, è vero, in questo Paese mangiamo tantissimi animali. E non sembra che questo ci renda migliori. Non so come faremo a giustificarci di fronte a loro [3]” e David ancora ironicamente, si chiede “Giustificarci? Quando? Alla Grande Resa dei Conti?”.
Questa ironia è tipica delle prime risposte di David alla questione animale. Come fa notare Randall, l’ironia, “la disposizione prevalente del pensiero e dell’immaginazione modernista, è una disposizione complessa e sofisticata dell’essere pensante, della mente razionale”.
L’ironia, se usata in un certo modo, allontana i problemi, allontana il confronto. Neutralizza il discorso.
Può essere vista come una caratteristica congenita al nostro modo di essere occidentali e come un “metodo” efficacissimo, che mettiamo in pratica di continuo per neutralizzare discorsi scomodi, più o meno coscientemente. Discorsi che possono riguardare gli animali come altro.
L’ironia, assieme alla correlata “distanza prospettica” che questa e più in generale l’atteggiamento di David comporta, verrà abbandonata da Lurie nel corso del suo “cambiamento”.
Continua Randall: “L’ironia […] sembra essere nella visione di Coetzee decisamente inadeguata alle considerazione etiche e politiche della realtà tardo-moderna…”[5].

Lasciamo da parte l’ironia.
Dopo l’incisione sul cane, David assiste all’esame di un caprone. Bev chiede alla proprietaria di lasciarglielo in modo che lei possa “aiutarlo a morire”. La proprietaria rifiuta e David si ritrova a consolarla: “Forse quel caprone capisce più di quanto immaginiamo […] Forse ci è già passato. Possiede una prescienza innata. In fondo siamo in Africa, no? Qui ci sono capre dall’inizio dei tempi. Non hanno bisogno che qualcuno gli spieghi a cosa servano il ferro e il fuoco. Sanno che morte aspettarsi. Nascono preparate”.
Bev risponde: “Non ne sono così sicura. Credo che nessuno sia pronto a morire, nessuno di noi, senza una presenza amica”. David distingue e allontana l’esperienza della morte dell’animale da quella dell’uomo (in più tira fuori quel “nascono preparate” che è una specie di debole palliativo per la coscienza). Bev crede invece in una continuità tra la nostra esperienza della morte e quella degli Altri, che è alla base dell’eticità delle sue azioni quotidiane.
La posizione di David a riguardo è destinata a cambiare, e ad avvicinarsi notevolmente a quella dell’amica di Lucy. La morte dell’Altro-animale diverrà un momento in grado di scuotere profondamente l’ex-professore.

Più avanti nel romanzo, di ritorno dalla clinica, David sarà costretto ad accostare la sua auto:
“Era convinto che prima o poi si sarebbe abituato. Non è così. Vede sempre più cani morire, ma i suoi nervi sono sempre più scossi. Una domenica pomeriggio, mentre sta tornando a casa con il pulmino di Lucy, deve fermarsi sul ciglio della strada per calmarsi, le mani tremanti, il volto rigato da lacrime irrefrenabili. Non capisce che cosa gli stia succedendo”.
Come scrive Attridge, “nonostante il crescente attaccamento di Lurie nei confronti degli animali e la sua maggiore consapevolezza della singolarità delle loro esistenze[7] possa essere rintracciata in diversi sviluppi narrativi […] l’esemplificazione più eloquente e completa della sua nuova attitudine è nel rapporto con i cani che devono essere ammazzati”[8].
La relazione con la morte degli animali, infatti, da un lato pone in luce i limiti della cultura razionalista: “Coetzee straccia le convenzionali giustificazioni alla base del “dover essere buoni” con gli animali — implicando non che siano giustificazioni vane o sbagliate, ma che fanno comunque parte della cultura umana razionalista che non riesce a raggiungere il cuore del problema. Poiché il cuore del problema, il pieno e profondo riconoscimento [del valore] dell’esistenza animale […] costituisce, come l’arte, una sfida veemente nei confronti di quella cultura”. Dall’altro, costituisce lo spazio per un contatto con l’alterità animale che rimane oscuro per il protagonista, ma che nondimeno si configura come uno delle questioni centrali che alimenteranno il suo cambiamento.
Quasi tutti gli animali portati alla clinica sono destinati a morire, come lo sono le due pecore per la festa di Petrus e i cani da guardia nelle gabbie di Lucy, massacrati durante un’aggressione. Scrive Herron:
“L’elaborazione del termine, del concetto, del dono della disgrazia da parte di Coetzee, raggiunge un innegabile e impressionante allargamento e approfondimento solo quando le condizioni sono tali da descrivere non solo la caduta di David […] ma quando la disgrazia arriva ad abbracciare le stesse vite degli animali: in altre parole, quando la nozione di disgrazia si è espansa fino a includere tutti gli animail, umani e non umani. Tutti gli animali, vivi o morti che siano.”.

Lo stato di disgrazia diventa un dono che dà la possibilità di percepire la disgrazia di tutti gli esseri viventi. Un dono nero che apre alla comprensione della disgrazia altrui e quindi al valore dell’altro, alla nostra comunanza, fratellanza con l’Altro (animale in primis).

Il rispetto dovuto agli animali morti

Riprendiamo lo studio. Questa tirata sarà lunga e piuttosto fosca, ma se vorrete seguirmi credo ne valga la pena.
Il protagonista di Vergogna, David Lurie, nel suo rapportarsi all’Altro-animale prova un forte senso di confusione.
Una scena in cui questa confusione è evidente avviene dopo l’incursione devastante dei tre sconosciuti nella casa di Lucy, dove si trovava anche David, e riguarda le due pecore che Petrus, ricomparso dopo la sospetta assenza durante l’aggressione, macellerà per la sua festa. Dapprima David, non sopportando di vederle affamate e legate lontano dall’erba, le sposta in una zona dove possono brucare; ma il mattino dopo le ritrova sulla terra nuda. David pensa che queste “abitudini contadine”, come le ha definite la figlia, siano caratterizzate da indifferenza e spietatezza, e valuta perfino l’idea di acquistare le pecore per salvarle.
Subito dopo realizzerà che per qualche motivo, la sorte dei due animali gli è venuta a cuore:
Non sa perché, ma fra lui e i due agnelli persiani si è instaurato una specie di legame. Non è un legame affettivo. Non è neppure un legame con quelle due bestie in particolare, visto che in mezzo a un gregge non le distinguerebbe. Tuttavia, all’improvviso e senza una ragione, la loro sorte gli sta a cuore.
La cosa non finisce qui: quando durante la festa di Petrus gli verrà passato il piatto con le cotolette d’agnello, David penserà: “Adesso mangio questa roba […]. La mangio, poi chiederò perdono”.
Il cambiamento ravvisato in sé davanti ai due animali è talmente forte che David si chiede come può riuscire a Bev Shaw una tale comunione con essi, se bisogna essere fatti in un certo modo, “con meno complicazioni”, e se lui dovrebbe diventare come Bev, quella Bev che nella sua prima visita alla clinica aveva considerato “una sacerdotessa, gonfia di scempiaggini New Age”.
Decide di parlarne a Lucy, che gli chiede se nella questione c’entrino i due agnelli. David risponde: “Sì. No. Non ho cambiato idea, se è a questo che ti riferisci. Continuo a credere che le bestie non abbiano una vita individuale. Per quanto mi riguarda, non vale la pena tormentarsi perché certe crepano e altre restano vive. […] Però in questo caso sono turbato. Non so perché”. Il riconoscimento di una soggettività negli animali non è ancora teorizzata da Lurie, che tuttavia ammette di essere scosso, e di non sapere perché.
Da questo momento in poi, dopo l’aggressione degli sconosciuti, diventerà più chiaro uno dei motori centrali della nuova relazione di Lurie con gli animali: la condivisione della sofferenza, e quindi, a un livello più profondo, la condivisione della possibilità di soffrire. Herron non sottovaluta questo punto: “Come un essere umano continua a soffrire in quel posto, così gli animali. E sono le inaspettate implicazioni congiunte di queste sofferenze che sfidano le certezze del protagonista coetziano e infine lo trasformano”.

Dopo il precipitare della situazione, David “va alla clinica veterinaria il più spesso possibile, offrendosi
per tutti i lavori che non richiedono particolari capacità” (l’aiuto portato è il suo contributo “naturale”, in quanto essere umano). La domenica pomeriggio la clinica resta chiusa e David aiuta Bev a “dissolvere” i cani: “A uno a uno li tira fuori dalla gabbia del cortile e li porta in sala operatoria. Lì, negli ultimi minuti che le restano, la vittima riceve le attenzioni di Bev Shaw, che la accarezza e le parla per addolcirle il trapasso. Se, come capita il più delle volte, il cane non si lascia incantare, la colpa è di David: emana un cattivo odore («Sentono l’odore dei pensieri»), l’odore della vergogna”. Questo odore accompagnerà David fino all’ultima pagina del romanzo, quando prendendo esempio da Bev, avrà imparato a concentrarsi sull’animale per dargli ciò che infine, non avrà difficoltà a chiamare “con il suo vero nome: amore”.
Dall’accostamento dei due passi si può notare come lo “state of disgrace” di David fondi una possibilità di contatto con l’altro animale, e come il “gesto etico” che infine ne scaturisce possa essere riconosciuto dall’Altro, al punto da vanificare l’odore stesso della vergogna.
“Sentono l’odore dei pensieri”, questa frase di Bev finirà con lo scolpirsi nella mente di David; la ritroviamo in seguito a una delle discussioni con Lucy in cui tornerà ad accentuarsi la distanza fra i due: “Mia figlia, […] la mia carissima figlia. Che mi è toccato in sorte guidare. Che un giorno non lontano dovrà guidare me.
Chissà se Lucy sente l’odore dei suoi pensieri?”. E ancora riguardo Melanie Isaacs, che David rivedrà a teatro: “Ci sono venti file tra lui e Melanie, ma David spera che in questo momento, attraverso lo spazio, lei riesca a sentire il suo odore, l’odore dei suoi pensieri.”. Con lo svilupparsi, nel corso del suo cadere in disgrazia, di una nuova capacità di sentire alimentata dal sempre più stretto rapporto con l’alterità animale, David sembra arrivare, in queste particolari situazioni, a sperare di poter proiettare la possibilità d’un sentire più profondo, attinto appunto dalla sua esperienza al fianco degli animali, anche negli altri esseri umani.

Lo stretto rapporto che David instaura più specificamente con la morte dell’Altro animale, lo conduce a prendersi cura dei corpi, delle carcasse della clinica veterinaria:
visto che Bev Shaw somministra l’iniezione, lui si occupa di eliminare le carcasse. La mattina dopo le esecuzioni, va con il pulmino carico all’inceneritore del Settlers Hospital, dove consegna alle fiamme i corpi chiusi nel loro involucro di plastica nera. Sarebbe più semplice portarli lì subito, lasciando che se ne occupassero gli addetti dell’inceneritore il lunedì. Ma significherebbe abbandonarli sul mucchio di rifiuti del fine settimana, in compagnia dell’immondizia dei reparti ospedalieri, delle carogne raccolte sul ciglio della strada, dei maleodoranti residui della conceria, un miscuglio casuale e spaventoso
e David non se la sente di infliggere un tale disonore ai cani. Inoltre, decide di spingere di persona i corpi fin dentro la fornace. La prima volta ha lasciato il compito agli addetti all’inceneritore:
Durante la notte il rigor mortis aveva irrigidito i cadaveri, così le zampe s’incastravano nelle sbarre del vagoncino; spesso, quando quest’ultimo tornava dal suo viaggio nella fornace, il cane era ancora lì, annerito e ghignante, con il pelo bruciacchiato e puzzolente, spogliato dell’involucro di plastica. Allora, prima di caricarli, gli operai hanno cominciato a pestare i cadaveri con le pale per spezzare le zampe irrigidite.
A quel punto David è intervenuto e ha preso il loro posto.
Più avanti leggiamo: “Per quale motivo si è preso questa incombenza? […] Per amore dei cani? Ma i cani sono morti; e poi che ne sanno i cani di onore e ignominia? Per se stesso, allora. Per la sua idea del mondo, un mondo in cui gli uomini non dovrebbero prendere a badilate i cadaveri per bruciarli più facilmente”. Per la sua nuova idea del mondo, potremmo dire, in cui David sente di non poter permettere che i corpi dei cani vengano spezzati a colpi di vanga per esser bruciati più comodamente.
David è disposto a occuparsi di loro “quando ormai non possono più badare a se stessi”. “Adesso è lui l’uomo dei cani: il becchino e lo psicopompo di queste bestie, il paria”. “Buffa cosa che un uomo egoista come lui si sia messo al servizio dei cani morti. Ci devono essere modi diversi e più produttivi di offrirsi al mondo, o a un’idea del mondo”. Come scrive Attridge, “a Lurie è chiaro che il suo apporto alla causa, misurato secondo parametri razionali, non ha nessun valore”. Ciò che fa David per le carcasse dei cani si configura, in maniera evidente, come un gesto completamente distaccato da ogni valore razionale-strumentale, ossia un gesto inutile, folle.
Ma David arriva a sentire così profondamente l’onere di occuparsi dei corpi dei cani, che nel suo breve ritorno a Cape Town, pensa: “[Q]uesto lunedì, le bestie soppresse nella clinica saranno buttate nel fuoco in maniera anonima, senza che nessuno pianga per loro. Potrà mai essere perdonato per questo tradimento?”. La sofferenza di David indica la piena assunzione del principio di responsabilità verso l’Altro.
Ora, una nota personale.
Ricordo di essere rimasto estremamente turbato da questa scelta di Lurie, quando leggevo il romanzo. La scelta di prendersi cura dei cani morti.
C’è qualcosa di estremamente disturbante nel vedere qualcuno che manca di rispetto al cadavere di un animale.
Qualcosa che va oltre il rispetto della morte in sé, cui tutti gli uomini, volenti o nolenti, sottostanno. Riflettiamoci un attimo: la morte di una formica forse non provoca simili emozioni, ma la morte di un cane, ovvero, la morte di un essere che noi, anche quelli di noi che non lo ammetterebbero facilmente, riconoscono come la morte di un singolo, specifico individuo, ci sconquassa.
Ho rivissuto questa esperienza singolare vedendo Earthlings. Vi propongo qui un pezzetto del documentario, dove si mostra lo “smaltimento” di alcuni cadaveri di cani e gatti.
Dal minuto 4.52 al minuto 6.30. Occhio, se siete sensibili, queste scene potrebbero turbarvi:

Anche voi sentite quella sorta di imperativo morale, quella sorta di cognizione che non ha bisogno di riflessioni e calcoli, ma che chiaramente dice: “Questo è sbagliato”?
Eppure, un animale morto ormai è morto, giusto? E noi, dovremmo indignarci solo per la mancanza di rispetto nei confronti della morte dei nostri simili, secondo la logica imperante… Eppure sono certo che quasi tutti guardando queste immagini penserebbero subito, prima ancora di ragionare su quello che stanno vedendo, che è sbagliato.
Certo, questa sembra una precognizione da mumbo jumbo, come direbbe il primo Lurie, eppure l’ultimo Lurie decide di dedicare la sua vita alla cura dei cani morti.
Forse, il nostro sentire, questo sentire, questo spettacolare suggerimento morale che ci rimbomba nella testa nel vedere certe scene non è un mumbo jumbo né “una scempiaggine new age”. Forse è qualcosa su cui dovremmo fermarci a riflettere, in un 2012 in cui il pianeta è praticamente distrutto, sconvolto, in cui decine di miliardi di animali all’anno vengono trucidati per gusto e le ingiustizie sociali nazionali e internazionali sono tutt’altro che risolte.
Si è spesso parlato di capacità di sentire, in questi post. Questo sentire sembra quasi, in questo caso, richiamare alla mente l’immagine di un’orecchio interiore, che ascolta le vere, autentiche pulsioni morali del singolo, al di là di ciò che la società stabilisce come norma. Un orecchio interiore che sembra avvicinarsi molto all’idea, ormai quasi romantica, di una “coscienza”.

Prima del capitolo conclusivo dello studio, andiamo a considerare un ultimo filo narrativo.
Si tratta della “questione dell’anima”.
Dopo che Lucy ritrova il padre addormentato nella gabbia di Katy, poco dopo il suo arrivo, commenta, riguardo ai cani: “Questi animali ci onorano come dèi, e noi li ringraziamo trattandoli come oggetti”. La risposta di David, nella circostanza, è fredda e ironicamente teologica: “I Padri della Chiesa hanno dibattuto a lungo sull’argomento, e sono giunti alla conclusione che i cani non hanno una vera anima […] La loro anima è legata al corpo e muore con il corpo”. Lucy scrolla le spalle: “Probabilmente non ce l’ho nemmeno io un’anima. Se ne vedessi una, non saprei riconoscerla”. “Non è vero. Tu sei un’anima. Tutti noi siamo anime. Siamo anime prima ancora di nascere” “Lucy lo guarda perplessa”. Il passo è interessante in quanto la questione dell’anima è stata (e ancora è) un noto perno di gerarchizzazione nel rapporto uomo-animale, nonché uno dei capisaldi storici del pensiero occidentale a riguardo. Lucy resta perplessa davanti alla certezza con cui David le propina un pezzo del “suo” sapere scolastico.
Volendo, sarebbe fin troppo facile applicare la doppia procedura decostruttiva derridiana a queste affermazioni. Vengono privati gli animali di un qualcosa “proprio dell’uomo” (non hanno una vera anima, o non hanno un’anima come quella dell’uomo), ma tanto la privazione di questo aspetto all’animale, quanto la sua attribuzione all’uomo, non c’è bisogno di dirlo, sono operazioni che poggiano su basi dogmatiche. Tuttavia Lucy, come in seguito David, non accetta queste affermazioni sulla base di una ben meditata inferenza intellettuale: sarà la vita stessa di Lucy, la sua “esistenza” (con tutto ciò che le è proprio anche al di là di quanto esperibile con la sola ragione) e il suo profondo rapporto con gli animali a renderle evidente l’arbitrarietà di una simile affermazione.
“Per oggi non ci sono più cani da uccidere. I sacchi neri sono ammucchiati sulla porta, ciascuno con un corpo e un’anima”. Questo intermezzo si riferisce ancora all’affermazione dei Padri della Chiesa secondo cui gli animali non possiedono una vera anima, ma solo un’anima che muore con il corpo. Il tempo, la disgrazia, hanno cambiato l’opinione di David: la tesi precedente appare ribaltata.
“In quella stanza succede qualcosa di innominabile: l’anima viene strappata dal corpo; resta per un attimo sospesa nell’aria, torcendosi e deformandosi; poi viene risucchiata e sparisce”. “David potrebbe risparmiare il cane storpio per un’altra settimana. Ma verrà il momento, inevitabile, in cui dovrà portarlo da Bev Shaw in sala operatoria […]. Poi, quando l’anima se ne sarà andata, dovrà avvolgerlo e chiuderlo nel suo sacco […] Quando giungerà il momento, farà questo per lui. Sarà poco, forse niente, ma lo farà”.
L’anima, la “vera anima”, non più inferiore, che David riconosce all’animale, viene estirpata nella stanza delle iniezioni, e David indugia su questa idea: proprio la presenza dell’anima a rendere innominabile l’atto che si compie in quella stanza.

La tematica dell’apertura all’Altro animale si configura quindi, anzitutto, come una sfida alla cultura razionalistica-strumentale in cui David, all’inizio del testo, dimostra di essere immerso. Dopo la critica autodistruttiva che David muove al sistema attraverso il rifiuto di sottomettersi alla commissione universitaria, ovvero attraverso il riconoscimento del desiderio come una forza “that exceeds and disrupts the razionalizations of his age”, nel successivo sviluppo del romanzo la “critica alla civiltà” (poiché di questo in fondo si tratta) del razionalismo egoistico, si delinea in tutta la sua forza: la cupa rappresentazione fa risaltare in tutta la sua urgenza la necessità di recuperare una capacità di sentire in grado di stabilire delle relazioni non-strumentali, non di comodo, non violente, con l’Altro da sé.
I fili narrativi che abbiamo analizzato comportano un’implicita condanna della chiusura, nonché della “distanza” (si ricordi l’atteggiamento ironico-dissacrante di David nei primi approcci alla questione) che la mentalità dominante impone all’individuo, davanti alla possibilità di una relazione diversa con l’Altro.
L’interesse a occuparsi dei cadaveri dei cani rappresenta un caso limite: immagine emblematica di un’assoluta distanza da qualsiasi valore utilitaristico. Riportiamo una frase riguardante Zampasecca, che attraverso una virgolettatura sembra evidenziata dallo stesso Coetzee: “Non lo sente ‘suo’ in alcun modo”. In chiusura di romanzo il rapporto di Lurie con gli animali è ormai plaesemente estraneo a qualunque logica reificante del “possesso”.
Vogliamo ora sottolineare, più in particolare, come in Vergogna sia rintracciabile anche un’altra questione da noi incontrata in qualche “post filosofico”: numerose fra le situazioni analizzate convergono a testimoniare il riconoscimento da parte del protagonista di una individualità negli animali.
A partire dalla scena delle due pecore destinate al macello per la festa di Petrus, di cui David, profondamente scosso, parlerà con Lucy. La volontà di sottrarre i due persiani alla sofferenza prima, e alla morte poi, non si configura come volontà di salvare i due esemplari in quanto rappresentanti generici della loro specie, al di là di quello che afferma Lurie, ma di sottrarre proprio quei due esemplari, legati a una staccionata davanti ai suoi occhi, dalla sofferenza che li opprime e dalla morte cui sono destinati. David non li ha mai visti prima, non li “conosce” affatto, ma i sentimenti da cui si sente investito riguardano proprio loro, proprio quei due. Il confuso discorso alla figlia, in cui Lurie richiama di sua iniziativa la nozione di individualità per due volte nel giro di una pagina, sembra quasi confermare che proprio tale questione sia centrale nel più ampio cambiamento che David comincia a realizzare nei confronti degli animali.
In precedenza David aveva sostenuto con Lucy il discorso sull’anima dell’animale; e nell’evoluzione di questo filo il riconoscimento di una soggettività viene chiarito senza lasciare dubbi: ricordiamo i sacchi ammucchiati sulla porta, “ciascuno con un corpo e un’anima”, nonché l’importanza che la questione riveste nelle ultime pagine del testo; e ricordiamo inoltre il farsi di Lurie becchino e psicopompo dei cani, e il suo senso di colpa durante il viaggio a Cape Town.
Scrive Attridge: “Il suo servire gli animali morti è inteso come un riconoscere e un tributare loro cordoglio [as marking and mourning], ovvero riconoscere la soggettività della morte di ciascun cane, contestando la riduzione dei loro cadaveri a un mero accumulo di materia”.
David giunge non solo a prendersi cura dei loro cadaveri, ma anche a piangere per loro, mette in atto cioè, un vero “lavoro del lutto”. Sentendo, ancora una volta in maniera indistinta e difficoltosa, il bisogno di agire in tal modo nei confronti dei corpi animali, David giunge a conferire alla morte degli animali una dignità simile a quella riservata alla morte degli esseri umani, contribuendo a cancellare un altro dei limiti segnati dal nostro pensiero a distinzione dello status umano da quello animale.
Nell’ultimo capitolo dello studio vedremo come in Vergogna si possa rintracciare anche una critica alla questione della “reazione e non risposta” che abbiamo già visto in alcuni post dedicati a Derrida.
Si è parlato di “svolta etica” nel romanzo. Abbiamo notato come gli animali giochino un ruolo fondamentale, proprio come la questione, più in generale, sembra diventare centrale nella pruduzione letteraria di Coetzee negli anni da Disgrace a Elizabeth Costello. Il passaggio del romanzo in cui questa sembra caricata di un valore più generale è ancora una volta una discussione tra David e Lucy: “Cerca Petrus e riferiscigli quello che ti ho detto. Gli cederò la terra con un regolare atto di proprietà”. David risponde: “Che umiliazione […] Tante grandi speranze per poi ridursi così”. “Sì, concordo con te, è umiliante. Ma forse è il punto di partenza giusto per ricominciare da capo. Forse è una lezione da accettare. Bisogna saper ricominciare dal fondo. Senza niente. Senza una carta da giocare, senza un’arma, senza una proprietà, senza un diritto, senza dignità”. “Come un cane”. “Sì, come un cane”.
È un passaggio che dà adito a molteplici interpretazioni: potrebbe essere considerato in relazione alla situazione sudafricana, oppure più in generale in rapporto al “tempo” in cui viviamo. Nella nostra lettura vogliamo sottolineare come l’umiliante “lezione da accettare”, che si configura come una “ripartenza dal basso”, possa essere figura tanto di quel recupero dell’“animale” sacrificato pre la fondazione dell’idea della superiorità dell’umano; quanto di quel recupero attraverso il rapporto con l’animale di una capacità di sentire in grado di stabilire un contatto autentico con l’Altro da sé, di fondare quindi un nuovo senso etico basato non sulla ragione strumentale, ma sul riconoscimento della condivisione con l’Altro di un qualcosa di comune e profondo; forse proprio “quell’oscuro concetto di mondo” cui abbiamo già fatto riferimento, parlando di Heidegger.

L’arte e gli animali

L’ultima tematica che affronteremo in Vergogna riguarda l’attività artistica di David Lurie attorno al suo libretto d’opera.
Il lavoro di David attorno al suo libretto, che all’inizio del romanzo non è altro che un vago proposito, acquista un’importanza crescente e giunge “a consumarlo giorno e notte”.
Contemporaneamente, l’idea stessa dell’opera lirica viene trasformandosi, di pari passo al processo che investe il protagonista nella seconda parte del libro. “Byron in Italia, una meditazione sull’amore eterosessuale in forma di opera da camera”, così la definisce David nelle prime pagine del libro. Più avanti, discutendone con Lucy, preciserà l’intenzione di prendere a prestito la maggior parte della musica. Il primo progetto dell’opera è incentrato sugli ultimi anni di Byron a Ravenna, ospite dell’amante Teresa Guiccioli e del marito. Dopo l’assalto e lo stupro della figlia, David rivedrà a fondo il suo progetto. In un lungo passo del testo, nella casa saccheggiata a Cape Town, Lurie critica chiaramente la vecchia idea e pone le basi per la nuova opera:
“Una pièce da camera sull’amore e la morte, con una giovane donna ardente e un uomo più maturo, che ha conosciuto la passione ma ora è spento; un’azione sorretta da una musica complessa e incessante […] Tuttavia, come già aveva avuto presentimento alla fattoria di Lucy, il progetto non lo avvince più. C’è qualcosa che non funziona, qualcosa che non viene dal cuore. Una donna che leva il suo lamento alle stelle perché i domestici ficcanaso la costringono ad appagare le proprie voglie nello sgabuzzino delle scope… e chi se ne frega?”
Inoltre David trova dei problemi con la musica: “[L]a Teresa tramandata dalla storia – giovane, avida, caparbia, petulante – mal si adatta alla musica che David ha in mente, una musica le cui armonie, rigogliosamente autunnali ma affilate dall’ironia, gli riecheggiano smorzate nell’orecchio interno”.
Una nuova sensibilità anima David davanti al lavoro; gli aspetti formali passano in secondo piano davanti a quel qualcosa che non funziona, quel qualcosa che non viene dal cuore. La stessa musica, su cui in realtà David ha fantasticato fin quasi dall’inizio del romanzo, diviene un fattore di primissima importanza: la figura storica di Teresa si adatta male al suo progetto, e David decide di restare fedele alla musica, stravolgendo l’impostazione del suo lavoro. “David decide di tentare un’altra strada […] cerca di tratteggiare Teresa nella mezza età. Ora Teresa è una vedova grassottella, e nella nuova versione dell’opera Byron è morto da un pezzo. “È questa l’eroina che stava cercando? Una Teresa più matura sarà capace di avvincere il suo cuore nelle condizioni attuali?”.
Quest’ultima frase stabilisce chiaramente il legame che intercorre tra la nuova opera e il nuovo “stato” del protagonista.
“Il tempo non l’ha risparmiata”. David immagina Teresa sfiorita, perseguitata dall’idea delle lettere, e dei libri che le raccolgono, in cui Byron la deride: “Questi libelli la feriscono nel profondo. Gli anni passati con Byron
costituiscono il momento culminante della sua vita. L’amore di quell’uomo è il suo unico vanto. Senza di lui non è più niente: una donna sfiorita, senza prospettive, che trascorre i suoi giorni in una monotona cittadina di provincia […]”. David si domanda se riuscirà ad amare la nuova Teresa abbastanza da scriverle una partitura musicale. Immagina la situazione, inserisce la voce del fantasma di Byron e lavorando rapidamente abbozza le prime pagine di un libretto:
“Metti le parole sulla carta, si dice. Dopo sarà tutto più facile. Cercherai con calma fra i maestri […] plagiando melodie e forse – chi può dirlo? – nuove idee. Ma gradualmente, vivendo le sue giornate in compagnia di Teresa e del fantasma di Byron, David si accorge che le canzoni rubate non saranno sufficienti, che i suoi due personaggi esigeranno una musica tutta loro. E, cosa strana, a spizzichi e bocconi la musica prende corpo”.
David comincia ad adoperare un banjo di Lucy, e il plin-plon del giocattolo diviene inseparabile dal personaggio di Teresa.
“Nell’opera non si avvicina né a Teresa né a Byron, e neppure a una miscela dei due: il suo posto è nella musica, nel suono piatto e metallico delle corde del banjo, nella voce che freme per liberarsi dal ridicolo strumento e innalzarsi ma viene continuamente trattenuta, come un pesce preso all’amo.
Questa dunque è l’arte, pensa, e questi sono i suoi meccanismi! Strano, ma allo stesso tempo affascinante!”
Tornato a Grahamstown, abituatosi a passare intere giornate alla clinica, David finirà per suonare e cantare pezzi della sua opera a una platea di animali.
Sarà nel cortile della clinica che Zampasecca tenterà di unirsi al suo canto:
“L’animale è affascinato dal suono del banjo. Quando David strimpella, si tira a sedere, piega la testa di lato, ascolta. Quando lui canticchia la parte di Teresa, e la sua voce comincia a gonfiarsi di sentimento (come se la laringe s’ispessisse: David sente il pulsare del sangue in gola), il cane sbatte le mandibole e sembra sul punto di mettersi a cantare, o ululare, con lui.”

E David prenderà in considerazione l’idea di aggiungere una nuova voce alla sua opera: “David si chiede se oserebbe portare un cane in scena, perché levi il suo lamento al cielo tra le strofe di una Teresa disperata d’amore. Perché no? In un’opera che non verrà mai rappresentata, tutto è lecito”. L’idea sembra ancor meno assurda, dato che David immaginava, poco prima, il canto di Teresa come un ululato scatenato dalla passione. Poco dopo realizza, inoltre, come la sua “opera” si sia ormai ridotta a una “una lunga, esitante cantilena che Teresa lancia nel vuoto…”.
Il collegamento che Attridge istituisce fra la tematica animale e quella artistica sembra avvalorato anche oltre questo esplicito contatto: lo stesso cambiamento che Teresa subisce sembra avvicinarla a Lurie e più specificamente alla sua situazione di dis-grazia; e inoltre, un discorso più generale sembra porre in parallelo l’attività artistica di Lurie a quella dello stesso Coetzee, nella specifica situazione dell’apertura all’Altro-animale.
Derrida, in “Che cos’è la poesia?” afferma che il pensiero dell’animale “se esiste, appartiene alla poesia – ecco una tesi – ed è proprio ciò di cui la filosofia, per sua natura, ha dovuto privarsi. Qui sta la differenza tra pensiero filosofico e pensiero poetico”. Ne L’animale che dunque sono, Derrida pone in evidenza il profondo disconoscimento della questione animale nella tradizione, ma riconosce al contempo una forte presenza animale nella letteratura e nell’attività poetica umana. Coloro “che dicono di assumere su di sé l’appello che l’animale rivolge loro, ancora prima di avere il tempo e la possibilità di sottrarvisi”, dice Derrida, “sembrano essere piuttosto poeti o profeti, che si esprimono tramite la poesia o la profezia”. È tra queste figure che si pone Coetzee nella sua ricerca poetica. Quanto abbiamo indagato nella nostra indagine, stabilendo dei parallelismi con la ricerca derridiana, vuole riconoscere lo statuto pienamente poetico dell’esperienza proposta al lettore di Vergogna per quanto riguarda i rapporti dell’uomo con l’alterità animale; evidenziando come attraverso l’attività poetica possano trovare risposta e rappresentazione alcune delle questioni centrali sollevate nella nostra breve incursione attorno al concetto di animale.
Come scrive Attridge: “Coetzee offre due soluzioni correlate alla moltitudine di problemi del periodo storico che viene a delinearsi nel romanzo. La produzione artistica e la rivendicazione della responsabilità umana nei confronti degli animali. Ciò che sostengo è che uno dei più incisivi risultati raggiunti dal romanzo risiede nella ficcante insistenza sul fatto che nessuno dei due arriva separatamente a costituire una via d’uscita concreta, mentre, al contempo, quando i due elementi convergono, producono un’esperienza, al di là della razionalità e dell’utilità misurabile, che si fa prova del loro fondamentale valore”.
Insomma Coetzee effettua una connessione alquanto particolare.
Noi non siamo solo raziocinio. Altre nostre facoltà conoscitive spesso ci permettono di sentire e comprendere subito la nostra fratellanza con gli animali (o ciò che è giusto e sbagliato fare nei confronti dei nostri simili).
Queste facoltà conoscitive che non hanno il loro punto di origine nella facoltà della ragione, giocano un ruolo fondamentale anche nella produzione di opere d’arte.
Ed ecco come l’arte e la necessità di una nuova posizione etica nei confronti degli animali convergono: entrambe possono (e devono) passare al vaglio della ragione, ma entrambe possono, inoltre, rendere conto di quella spinta etica di carattere empatico che l’uomo sente ma di cui spesso non riesce a rendere conto in base a riflessioni prettamente razionali.

Bibliografia critica su Coetzee

  • D. Attridge, “J.M. Coetzee and the Ethics of Reading”, The University of Chicago Press, 2004
  • T. Herron, “The Dog Man: Becoming Animal in Coetzee’s Disgrace”, “Twentieth Century Literature 51, 2005
  • L. Fiorella, “Figure del male nella narrativa di J.M. Coetzee”, Edizioni ETS, 2006
  • L. Fiorella, “Scene della ricerca della verità nell’opera di J.M. Coetzee”, manoscritto, su gentile concessione dell’autrice
  • S. Mulhall, “The Wounded Animal”, Princeton University Press, 2009
  • D. Randall, “The Community of Sentient Beings: J.M. Cotezee’s Ecology in Disgrace and Elizabeth Costello”, in “English Studies in Canada”, vol. 33, 2007.
  • G.C. Spivak, “Ethics and Politics in Tagore, Coetzee, and Certain Scenes of Teaching”, in “Diacritics: a Review of Conteporary Criticism”, numero 32, 2002.

Questo studio è stato pubblicato per la prima volta (a puntate) sul blog Animalismoevegetarianesimo.com.

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