Nel settembre del 1967 l’Universidad Nacional de Ingeniería peruviana invita a Lima Gabriel García Márquez, che da pochi mesi ha pubblicato “Cent’anni di solitudine”. L’eccezionale successo lo ha reso la figura più in vista della letteratura latinoamericana, una leggenda vivente. A Lima si trova anche Mario Vargas Llosa, fresco vincitore del premio Rómulo Gallegos per “La casa verde”. I due futuri premi Nobel sono i protagonisti di un evento che va ben oltre le abituali conferenze: un dialogo sull’essenza e il futuro del romanzo, latinoamericano e non solo. Dalle loro parole emergono le due diverse personalità e nei vivaci scambi di battute risuonano grandi temi come la responsabilità del romanziere o il peso del convulso mondo politico sudamericano nella letteratura; ma soprattutto aleggia quel concetto di “realismo magico” che proprio da “Cent’anni di solitudine” si sarebbe imposto come il carattere più tipico della letteratura latinoamericana. D’altronde, in quel fatidico 1967 il boom della letteratura latinoamericana era al suo esordio: come a Macondo, «il mondo era così recente che molte cose erano senza nome».