Opera prima di Colum McCann, “Di altre rive” è una raccolta di dodici racconti che sviscerano, con cruda e angosciante precisione, il tema della perdita. Con un coraggio a tratti imprevedibile, i protagonisti di queste storie vivono incastrati nei ricordi, tra i paesi che hanno abbandonato – l’Irlanda, il Giappone – e quelli del loro presente – gli Stati Uniti, l’Inghilterra. C’è una donna che si nasconde in un bagagliaio per attraversare la frontiera degli Stati Uniti alla ricerca della sorella, diventata suora e ora ricoverata per anoressia. Ci sono madri che, dopo l’emigrazione dei figli, ne pescano di nuovi nel “fiume nero pece” mentre i padri giocano a calcio da soli. C’è un marito che colleziona quarti di dollaro sui quali la moglie dipinge. C’è un personaggio misterioso che si è rifugiato in Irlanda dopo essere sopravvissuto a Hiroshima, e ha tappezzato la sua casa di strati e strati di carta da parati. C’è un ragazzo che getta la sua bicicletta in un fiume dopo un incidente che lo ha costretto in sedia a rotelle. C’è, ancora, un pugile che è stato abbandonato dalla moglie dopo aver perso l’incontro della sua vita. Ma a unire questo vertiginoso giro di esistenze c’è l’incomprensibile capacità di lasciarsi sorprendere dalla poesia del quotidiano. Un dettaglio, un profumo nel vento o la grazia della curvatura di una strada diventano così ancore di salvezza nella tragedia umana, simboli di riscatto per restituire la complessità delle nostre esistenze.