Tra le relazioni d’amore, quella con la figura materna risulta fondamentale. Se la madre non è in grado di fornirci un amore e un sostegno che vadano oltre il semplice accudimento, è probabile che tutta la nostra vita verrà segnata da una ferita originaria che condizionerà il nostro futuro. Questo è quanto accade a Angela, la protagonista di “Zitta!”. Da sempre Angela avverte un rifiuto da parte della madre – che già alla nascita sceglie di non allattarla -, incapace com’è di stabilire un rapporto positivo con questa figlia, così diversa da lei, che vada oltre la critica dei suoi comportamenti e il confronto continuo con la sorella, mite e laboriosa. Questo trauma mai ricomposto la porterà, nonostante l’affetto che prova verso i suoi fratelli più piccoli, ad allontanarsi presto dalla casa dei genitori. Ed è solo l’inizio: la storia di Angela è una storia di fughe, soprattutto da chi cerca di amarla. Fuga dal primo innamorato, fuga, emotiva se non fisica, dal marito Alfredo, che non riesce a coglierne la complessità. Ma non sempre una ferita d’amore all’origine porta a risultati così catastrofici. Anche Chiara, la figlia di Angela, è cresciuta da una madre dal comportamento ambivalente, eppure si mostrerà più adulta di quei due genitori rimasti prigionieri del passato e ingessati in ruoli di cui non riescono a liberarsi. Fino a un evento tragico che rimetterà tutto in gioco e costringerà i protagonisti a una riflessione sulle proprie relazioni, per giungere a un finale imprevedibile. Questo romanzo, che richiama la «teoria dell’attaccamento» di John Bowlby, ci aiuta a capire come funzioniamo nelle relazioni della nostra storia personale. Ogni capitolo infatti è seguito da un approfondimento che trae spunto da una parola chiave relativa al capitolo stesso e che ci guida verso quelle domande che ci fanno riflettere e fanno luce sulla nostra esperienza personale. Un romanzo «terapeutico» che aiuta chi ha vissuto relazioni disfunzionali a trovare una nuova coscienza di sé e del proprio stile relazionale.