«Nel 1914 esce Cabiria, forse il più grande kolossal della storia del cinema italiano. La trama, in teoria, dovrebbe ricostruire l’epico scontro tra Roma e Cartagine, ma l’estetica orientaleggiante e liberty dell’epoca, con tanto di Gabriele D’Annunzio alla sceneggiatura, racconta facilmente in controluce il presente di quell’Italia desiderosa di guadagnare visibilità e credibilità internazionale. Di fronte a Cabiria, spiega Giovanni De Luna, lo storico finisce per «aggirarsi tra quelle immense scenografie, fiutando non l’aria del III secolo a.C. ma quella carica di odori e di miasmi pestiferi del primo Novecento, di quella incredibile e paradossale stagione in cui stava finendo l’Ottocento e fragorosamente e maledettamente stava nascendo il terrificante XX secolo». Parte da qui il percorso affascinante di uno storico che utilizza i film come documenti del periodo in cui venivano realizzati, in un’inedita lettura del modo in cui il cinema, specchio di un presente in procinto di farsi storia, ha contribuito a “fare gli italiani”: l’immediato dopoguerra di Ladri di biciclette, i primi venti del boom di Un americano a Roma, la lotta sociale di La classe operaia va in paradiso, ma anche l’edonismo pre Mani pulite di Yuppies o Vacanze di Natale. Ma non solo, perché in molti casi proprio il cinema, arte nobile e popolare insieme, ha voluto farsi a sua volta strumento di indagine storica, che fosse propaganda di stato o contestazione intellettuale: per ogni Cabiria ci sono stati moltissimi La grande guerra, Una giornata particolare, La notte di San Lorenzo, La meglio gioventù… Mescolando alto e basso senza timore, e con qualche sortita nel cinema straniero, Giovanni De Luna ricostruisce la storia del nostro paese per come l’abbiamo vista, o meglio, voluta vedere al cinema noi italiani, che fossimo di volta in volta sceneggiatori, registi o solo semplici ma appassionati spettatori.