Grazie alla preziosa documentazione lasciata dal padre, Ivanna Rosi ricostruisce una vicenda familiare che è di fatto una microstoria toscana, e in particolare senese, tra gli anni Venti e Cinquanta. Ambienti, passioni, pregiudizi, sofferenze, ambizioni, nelle loro interferenze e conflitti talvolta drammatici con il potere fascista e con le difficoltà del dopoguerra. Al centro la bella storia d’amore di Aida e Umberto, nel piccolo mondo di Vescovado di Murlo, sotto l’occhio inquisitore dei gerarchi locali, alla vigilia della guerra. Quel lontano passato della famiglia e i successivi ricordi dell’infanzia e adolescenza legati alle due coppie dei genitori e degli zii sono filtrati da uno sguardo retrospettivo benevolo e affettuoso. Lungi dal gravare di postume riprovazioni gli errori e anche le colpe, pur non taciute, nei limiti dello spirito piccolo borghese degli anni Cinquanta, il racconto riscopre il tesoro dimenticato o equivocato e screditato, dell’amore ricevuto, la giovinezza e la bellezza di Aida, la complessità malinconica di Umberto, la vivacità capricciosa e appassionata di Silvia, la placida serenità di Palmiero. “La mia anima – scrive Alphonse de Lamartine nelle Confidences – è come i setacci con cui i cercatori d’oro del Messico raccolgono le pagliuzze del puro metallo dai torrenti delle Cordigliere. La sabbia se ne va, l’oro rimane. Perché opprimere la memoria con ciò che non serve a nutrire, a incantare, a consolare il cuore?”